Nuova procedura cautelare tributaria, più ampia la tutela del contribuente

Considerazioni introduttive

Il Dlgs 30 dicembre 2023, n. 220, recante «Disposizioni in materia di contenzioso tributario» (in GU 3 gennaio 2024, n. 2, in vigore dal 4 gennaio 2024), in attuazione della legge delega 111/2023, ha previsto, all’articolo 1, comma 1, lettera s), una modifica di grande rilevanza nell’ambito del processo tributario, intervenendo sul giudizio di sospensione dell’efficacia esecutiva degli atti impugnati.

Si tratta, nello specifico, di modifiche apportate all’articolo 47, Dlgs 546/1992, rubricato «Sospensione dell’atto impugnato», ove, tra le altre, al comma 4, come modificato dal Dlgs 220/2023, è stata prevista, entro un termine perentorio, l’impugnabilità delle ordinanze cautelari pronunciate dal giudice di primo grado in composizione collegiale o monocratica.

Appare ictu oculi che le modifiche apportate al comma 4 dell’articolo 47, Dlgs 546/1992 rappresentano un autentico punto di svolta nell’ambito della tutela cautelare tributaria, in quanto concedono al contribuente un nuovo e significativo strumento difensivo garantendo così una maggiore tutela dei suoi diritti.

Al fine di comprendere appieno la portata applicativa delle novità in commento, occorre dapprima soffermarsi sulla disciplina della tutela cautelare nel processo tributario.

Disciplina e requisiti della sospensione cautelare dell’efficacia esecutiva dell’atto impugnato

La tutela cautelare riveste un ruolo di fondamentale importanza nella salvaguardia dei diritti del contribuente, offrendo loro una protezione contro gli effetti pregiudizievoli degli atti tributari, i quali, essendo immediatamente esecutivi, legittimano l’Ente creditore a riscuotere le somme richieste.

A tal fine, giova rammentare che la proposizione del ricorso dinanzi alla Corte di Giustizia tributaria non comporta automaticamente la sospensione della riscossione di quan¬to richiesto con l’atto impositivo. Ciò in quanto è riconosciuto all’Amministrazione finanziaria il potere di riscuotere, a titolo provvisorio ed in modo frazionato, la pretesa erariale contro¬versa, esponendo così il contribuente ad un’anticipazione finanziaria, seppur parziale, già prima della decisione del giudizio.

Tuttavia, l’articolo 47 del Dlgs 546/1992, al fine di evitare la predetta situazione e garantire al contribuente uno strumento di tutela cautelare durante il processo tributario, prevede la possibilità di sospendere l’efficacia esecutiva dell’atto impugnato, seppur in presenza di determinate condizioni.

Come più volte ricordato dalla giurisprudenza di legittimità, la sospensione giudiziale dell’esecuzione di cui all’articolo 47 del Dlgs 546/1992 arresta temporaneamente la possibilità per il creditore di agire in executivis e, di conseguenza, preclude all’Agente della riscossione la possibilità di notificare la cartella di pagamento e ogni ulteriore atto diretto a far proseguire l’esecuzione, che deve medio tempore arrestarsi (si veda ex multisCass. 20 luglio 2023, n. 21824Cass. 14 dicembre 2021, n. 40047).

In linea generale, l’articolo 47 cit. prevede che il ricorrente, se dall’atto può derivargli un «danno grave e irreparabile», può chiedere alla corte di giustizia tributaria di primo o di secondo grado presso la quale è pendente il giudizio la sospensione dell’esecuzione dell’atto stesso con istanza motivata proposta nel ricorso o con atto separato notificata alle altre parti e depositata in segreteria.

In altri termini, il contribuente ha diritto di richiedere la sospensione giudiziale dell’esecuzione dell’atto impugnato, sempreché dimostri la capacità di quest’ultimo di risultare irrimediabilmente pregiudizievole, provando la sussistenza sia del fumus boni iuris sia del grave e irreparabile danno, i quali rappresentano le necessarie condizioni di operatività della tutela cautelare nel processo tributario.

Sul punto, si rendono necessarie brevi precisazioni.

Il requisito del fumus boni iuris

Come sopra argomentato, ai fini di un’idonea tutela cautelare è fondamentale che la richiesta di sospensione dell’esecuzione dell’atto impugnato sia corredata da una sufficiente dimostrazione della sussistenza del fumus boni iuris, ossia delle ragioni di fatto e degli elementi di diritto funzionali ad un esito positivo dell’impugnativa.

Ed invero, sebbene il requisito del fumus boni iuris non sia espressamente richiesto dall’articolo 47 del Dlgs 546/1992, si ritiene possibile dedurre il richiamo – seppur in modo indiretto - a tale requisito nel successivo comma 3, ove si fa riferimento alla «previa delibazione del merito».

Ciò in quanto tale requisito consiste in una vera e propria valutazione circa la fondatezza (anche apparente) della domanda posta dal ricorrente (petitum e causa petendi), che può essere ricavata da un esame preliminare del ricorso e della documentazione prodotta.

In altri termini, si ritiene che, stante l’autonomia del giudizio cautelare rispetto a quello di merito, ai fini della sussistenza di tale requisito è sufficiente la valutazione della non manifesta infondatezza del ricorso senza indagini approfondite sul merito, essendo queste riservate al giudizio principale.

Il requisito del periculum in mora

In «rapporto di compensazione» con il primo requisito sovviene, poi, la valutazione del periculum in mora, espressamente richiamato al comma 1 del citato articolo 47, il quale indica il «danno grave e irreparabile» che potrebbe derivare dalla provvisoria esecuzione dell’atto impugnato prima che il giudice si pronunci sul ricorso.

Sul punto, occorre preliminarmente evidenziare che la disposizione richiamata fa espresso riferimento esclusivamente ad un «danno grave e irreparabile», ma non fornisce alcuna specificazione in relazione al tipo di danno.

Ciò chiarito, si deve precisare che il comma 1 dell’articolo 47 del Dlgs 546/1992 menziona due distinti aspetti che devono caratterizzare il danno in egual misura, ossia la gravità e l’irreparabilità.

Secondo un orientamento granitico della giurisprudenza di merito, la gravità del danno si deve valutare non in assoluto, ma in relazione alle condizioni soggettive della parte incisa, nel rapporto tra pregiudizio patito dal debitore e vantaggio ricavabile dall’Amministrazione dall’esecuzione dell’atto.

Pertanto, considerato che la gravità del danno deve essere valutata in relazione alle possibilità economiche del ricorrente, ne discende che tale requisito sussiste quando vi è una un’eccezionale sproporzione fra il vantaggio ricavabile dall’esecuzione da parte del creditore rispetto al pregiudizio patito dal debitore.

In altri termini, sul punto, la costante giurisprudenza di merito afferma che costituisce danno grave ciò che eccede il pregiudizio necessariamente subito dal debitore per l’esecuzione dell’atto impositivo, ove foriero di un inaccettabile squilibrio tra i vantaggi dell’esecutore ed i sacrifici dell’esecutato.

Inoltre, aggiungono i giudici di merito che: «La gravità del danno deve altresì essere inevitabile, nel senso che non può essere efficacemente ridotta ricorrendo alla rateazione del pagamento richiesto o ad altre misure finanziarie» (si veda ex multis: Comm. Trib. Reg. Lombardia-Milano, ord. 10 giugno 2019 n. 1188; Comm. Trib. Reg. Lombardia-Milano, ord. 6 marzo 2019 n. 487; Comm. Trib. Reg. Lombardia-Milano, ord. 2 luglio 2018 n. 1160).

In sostanza, la gravità del danno ha una connotazione quantitativa e soggettiva: cioè il danno va valutato, da un lato, in concreto, ossia alla luce della sfera economica del soggetto passivo e, dall’altro, in relazione alla quantità delle imposte presuntivamente evase.

Al contrario, il requisito dell’irreparabilità del danno ha una connotazione qualitativa ed oggettiva, essendo attinente ad un’alterazione di tipo irreversibile dello stato di fatto iniziale che prescinde dal soggetto istante.

Ed invero, la valutazione dell’irreparabilità del danno va riferita non tanto alla situazione giuridica «statica» ove rileva solo il diritto direttamente fatto valere in giudizio, bensì al diritto nel suo aspetto «dinamico», in relazione al quale assume rilevanza preponderante la posizione soggettiva del soggetto tutelando, identificandosi nella illegittima riscossione che il ricorrente potrebbe subire o nel pericolo che questi sia posto nella necessità di ricorrere all’improvviso smobilizzo di beni patrimoniali senza possibilità di fissare condizioni di vendita adeguate.

In altre parole, con riferimento alla questione dell’irreparabilità del danno, l’esame della sussistenza di tale condizione verte sull’insieme delle conseguenze che l’illegittima riscossione può comportare in capo al contribuente.

Sul punto, infatti, i giudici di merito sono concordi nell’affermare che «L’irreparabilità del danno presuppone una lesione effettiva o potenziale dei diritti inviolabili e/o dei doveri fondamentali della persona alla quale non è possibile porre rimedio» (Comm. Trib. Reg. Lombardia – Milano, ord. 6 marzo 2019 n. 493).

In sostanza, l’espressione «danno irreparabile» indica le conseguenze causate dall’esecuzione con la distruzione o con la perdita delle qualità essenziali o delle funzioni economiche del bene, senza la possibilità, nel caso di successivo accoglimento del ricorso, di un suo reintegro in natura o per equivalente.

Di conseguenza, il contribuente, al fine di dimostrare la sussistenza del requisito del periculum in mora, deve dimostrare, tramite idoneo e conferente riscontro documentale, il danno grave e irreparabile che deriverebbe dalla esecuzione provvisoria dell’atto impugnato.

Nuova procedura cautelare tributaria e impugnabilità dell’ordinanza cautelare

Al fine di valutare l’impatto che la novella legislativa ha avuto sull’articolo 47 del Dlgs 546/1992 e, dunque, di procedere all’analisi del nuovo procedimento cautelare applicabile ai giudizi instaurati in primo e in secondo grado, nonché in Cassazione, a decorrere dal 5 gennaio 2024, occorre preliminarmente evidenziare quali sono le modifiche apportate dall’articolo 1, comma 1, lettera s), Dlgs 220/2023 alla previgente formulazione dell’articolo 47 cit.

A tal fine si evidenzia che:

  • nel comma 1 le parole «commissione provinciale competente» sono sostituite dalle seguenti: «corte di giustizia tributaria di primo o di secondo grado presso la quale è pendente il giudizio, ovvero adita ai sensi dell’articolo 62-bis»;
  • nel comma 3 sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «o del giudice monocratico»;
  • nel comma 4 sono soppresse le parole «non impugnabile» e viene riscritto il secondo periodo;
  • nel comma 7 le parole «di primo grado» sono soppresse;
  • nel comma 8 la parola «commissione» è sostituita dalle seguenti: «corte di giustizia tributaria di primo o di secondo grado presso la quale è pendente il giudizio».

Pertanto, alla luce delle modifiche introdotte dal citato Dlgs 220/2023, la nuova procedura cautelare ex articolo 47, Dlgs 546/1992, con decorrenza dal 4 gennaio 2024 e applicazione ai giudizi instaurati, in primo e in secondo grado, nonché in Cassazione, a decorrere dal 5 gennaio 2024 (ossia dal giorno successivo all’entrata in vigore del suddetto decreto modificante) può così essere riassunta:

- ai sensi del comma 1 del citato articolo 47 cit., se dall’atto impugnato può derivargli un danno grave e irreparabile, il ricorrente può chiedere alla corte di giustizia tributaria di primo o di secondo grado presso la quale è pendente il giudizio, ovvero adita ai sensi dell’articolo 62 bis, la sospensione dell’esecuzione dell’atto stesso, che deve essere proposta dal ricorrente «nel ricorso o con atto separato notificata alle altre parti e depositato in segreteria sempre che siano osservate le disposizioni di cui all’articolo 22»;

- ai sensi del comma 2 dell’articolo 47 cit., a seguito della presentazione dell’istanza, il Presidente della sezione «fissa con decreto la trattazione dell’istanza di sospensione per la prima camera di consiglio utile e comunque non oltre il trentesimo giorno dalla presentazione della medesima istanza, disponendo che ne sia data comunicazioni alle parti almeno cinque giorni liberi prima».

Per mera completezza, si evidenza che il comma 2 richiamato è stato modificato dalla legge n. 130/2022 di Riforma del processo tributario, la quale ha introdotto un termine perentorio entro il quale il Presidente deve fissare con decreto la trattazione della istanza di sospensione (non oltre il trentesimo giorno dalla presentazione dell’istanza) per la prima camera di consiglio utile e ha ridotto il termine per la comunicazione alle parti, che è passato da dieci a cinque giorni liberi prima.

Sempre grazie alle modifiche introdotte dalla Legge n. 130/2022, il legislatore ha previsto che l’udienza di trattazione dell’istanza di sospensione non può, in ogni caso, coincidere con l’udienza di trattazione del merito della controversia;

- ai sensi del comma 3 dell’articolo 47 cit., in ipotesi di eccezionale urgenza, il Presidente, previa delibazione del merito, può disporre, con decreto motivato e inaudita altera parte, la provvisoria sospensione dell’esecuzione fino alla pronuncia del Collegio o del giudice monocratico (figura introdotta dalla Legge 130/2022 ed a cui è affidata la competenza delle liti con valore fino a 5.000 euro);

- ai sensi del nuovo comma 4 dell’articolo 47 cit., il giudice di primo grado (in composizione collegiale o monocratica) deve provvedere con ordinanza motivata nella stessa udienza di trattazione dell’istanza. L’ordinanza deve essere immediatamente comunicata alle parti e, a seconda dei casi, può essere impugnabile.

In merito all’impugnabilità dell’ordinanza, occorre evidenziare che, secondo la previgente versione del comma 4 (ossia per i giudizi instaurati fino al 4 gennaio 2024) tale ordinanza non era impugnabile e, di conseguenza, il contribuente non disponeva di alcuno strumento processuale per contrastare eventuali provvedimenti di rigetto illegittimi o viziati.

La situazione è radicalmente mutata a seguito delle modifiche introdotte dall’articolo 1, comma 1, lettera s), del Dlgs 220/2023, il quale ha previsto, per la prima volta, l’impugnabilità delle ordinanze cautelari pronunciate dal giudice di primo grado in composizione collegiale o monocratica.

La nuova formulazione del comma 4 indica precisamente il termine perentorio entro cui le ordinanze cautelari possono essere impugnate; la modalità di impugnazione nonché la Corte di Giustizia tributaria competente a decidere.

A tal fine, il comma 4, come modificato dall’articolo 1, comma 1, lettera s), Dlgs 220/2023, espressamente prevede che:

a) l’ordinanza cautelare collegiale è impugnabile innanzi alla corte di giustizia tributaria di secondo grado «entro il termine perentorio di quindici giorni dalla sua comunicazione da parte della segreteria». A tale procedimento si applicano le disposizioni di cui ai commi 2, 3 e 4 in quanto compatibili.

Alla luce di tale precisazione ne discende che, in relazione all’impugnazione dell’ordinanza cautelare collegiale:

1. il Presidente della sezione della Cgt di secondo grado fissa con decreto la trattazione dell’istanza di sospensione per la prima camera di consiglio utile e comunque non oltre 30 giorni dalla presentazione della medesima istanza, disponendo che ne sia data comunicazioni alle parti almeno 5 giorni liberi prima (comma 2);

2. ad ogni modo, in caso di eccezionale urgenza, il Presidente, previa delibazione del merito, può disporre, con decreto motivato e inaudita altera parte, la provvisoria sospensione dell’esecuzione fino alla pronuncia del Collegio (comma 3);

3. il collegio, sentite le parti in camera di consiglio, provvede con ordinanza motivata nella stessa udienza di trattazione dell’istanza. L’ordinanza è immediatamente comunicata alle parti (comma 4);

4. non si applicano i commi 5 e 6, dell’articolo 47 in commento e, pertanto, la sospensione dell’atto impugnato non può essere parziale e subordinata alla prestazione di garanzia e la trattazione della controversia può essere fissata oltre novanta giorni dalla pronuncia;

b) l’ordinanza cautelare del giudice monocratico è impugnabile solo con reclamo innanzi alla medesima corte di giustizia tributaria di primo grado in composizione collegiale da notificare alle altre parti costituite «nel termine perentorio di quindici giorni dalla sua comunicazione da parte della segreteria». A tale procedimento si applicano le disposizioni di cui ai commi 2, 3, 4, 5 e 6 in quanto compatibili.

Alla luce di tale precisazione, ne discende che, in relazione all’impugnazione dell’ordinanza cautelare del giudice monocratico:

1. il Presidente della sezione della medesima Cgt di primo grado in composizione collegiale fissa con decreto la trattazione dell’istanza di sospensione per la prima camera di consiglio utile e comunque non oltre 30 giorni dalla presentazione della medesima istanza, disponendo che ne sia data comunicazioni alle parti almeno 5 giorni liberi prima (comma 2);

2. ad ogni modo, in caso di eccezionale urgenza, il Presidente, previa delibazione del merito, può disporre, con decreto motivato e inaudita altera parte, la provvisoria sospensione dell’esecuzione fino alla pronuncia del Collegio (comma 3);

3. il giudice monocratico provvede con ordinanza motivata nella stessa udienza di trattazione dell’istanza. L’ordinanza è immediatamente comunicata alle parti (comma 4);

4. si applicano i commi 5 e 6, dell’articolo 47 in commento e, pertanto, la sospensione dell’atto impugnato può essere parziale e subordinata alla prestazione di garanzia e la trattazione della controversia non può essere fissata oltre novanta giorni dalla pronuncia.

Pertanto, a seguito della modifica apportata dall’articolo 1, comma 1, lettera s), Dlgs 220/2023 al comma 4 dell’articolo 47, Dlgs 546/1992, le ordinanze cautelari collegiali e del giudice monocratico possono essere impugnate, entro 15 giorni dalla loro comunicazione, rispettivamente innanzi alla Cgt di secondo grado e alla Cgt di primo grado in composizione collegiale, ove si dovrà nuovamente motivare e documentare la sussistenza delle condizioni richieste al fine della concessione della sospensione (ossia il fumus boni iuris e il periculum in mora);

- ai sensi del comma 5 dell’articolo 47 cit., la sospensione può essere parziale e in alcuni casi, subordinata alla prestazione di idonea garanzia ex articolo 69, comma 2, Dlgs 546/1992 (ad esempio, cauzione o fideiussione bancaria o assicurativa).

Come previsto dall’articolo 2 della legge n. 130/2022, con decorrenza dal 16.09.2022, la prestazione della garanzia è esclusa per i ricorrenti con «bollino di affidabilità fiscale», per tali intendendosi quei contribuenti soggetti alla disciplina di cui all’articolo 9 bis del Dl 24 aprile 2017, n. 50, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 2017, n. 96, ai quali sia stato attribuito un punteggio di affidabilità pari ad almeno 9 negli ultimi tre periodi d’imposta precedenti a quello di proposizione del ricorso per i quali tali punteggi siano disponibili;

- ai sensi del comma 6 dell’articolo 47 cit., nei casi di sospensione dell’atto impugnato, «la trattazione della controversia deve essere fissata non oltre novanta giorni dalla pronuncia»;

- ed ancora, ai sensi del successivo comma 7 dell’articolo 47 cit., gli effetti della sospensione cessano dalla data di pubblicazione della sentenza;

- ai sensi del comma 8 dell’articolo 47 cit., a fronte di elementi sopravvenuti tali da determinare un mutamento delle circostanze, la corte di giustizia tributaria di primo o secondo grado, su istanza motivata di parte, può revocare o modificare il provvedimento cautelare prima della sentenza che decide la controversia;

- infine, ai sensi del comma 8 bis dell’articolo 47, durante il periodo di sospensione cautelare si applicano gli interessi al tasso previsto per la sospensione amministrativa.

Pertanto, alla luce delle suesposte considerazioni, sebbene il Dlgs 220/2023 abbia apportato modifiche a diversi commi dell’articolo 47 del Dlgs 546/1992, si può pacificamente affermare che la novità che merita particolare attenzione e che, più di tutte, ha inciso sulla procedura della tutela cautelare tributaria è quella di cui al comma 4 dell’articolo 47 cit., relativa all’impugnabilità delle ordinanze cautelari pronunciate dal giudice di primo grado.

Considerazioni conclusive

Alla luce di quanto sopraesposto, appare evidente che le modifiche introdotte dall’articolo 1, comma 1, lettera s), Dlgs 220/2023, impattano notevolmente sull’iter procedimentale del giudizio di sospensione dell’efficacia esecutiva degli atti impugnati.

Il legislatore della riforma ha mostrato particolare interesse verso il procedimento cautelare apportandovi nuove regole che, fermo restando le imprescindibili condizioni del fumus boni iuris e del periculum in moragarantiscono una più efficace tutela cautelare prevedendo, in caso di rigetto dell’istanza di sospensione presentata nel giudizio di primo grado, la devoluzione della questione ad altro giudice innanzi al quale sarà nuovamente possibile motivare e documentare il danno grave ed irreparabile connesso ad una mancata sospensione dell’atto amministrativo.

Concludendo, la novità assoluta introdotta nel comma 4 dell’articolo 47, Dlgs 546/1992, rappresenta un vero e proprio punto di svolta nell’ambito della tutela cautelare tributaria, in quanto amplia notevolmente gli strumenti difensivi a tutela dei diritti del contribuente.