Il Parlamento torna alla carica per chiedere una riapertura, anche minima, dei termini del superbonus. Il “no” secco, ripetuto per settimane dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti e legato alla tenuta dei conti pubblici, non è stato evidentemente sufficiente. Le spinte per evitare l’esplosione dei contenziosi e il blocco dei cantieri, evocati dall’Ance nel corso della sua audizione di martedì scorso, continuano ad attraversare con forza i partiti, senza distinzioni tra maggioranza e opposizione.
Così, tra i 130 emendamenti depositati giovedì scorso alla legge di conversione del decreto Salva-spese (Dl n. 212/2023), compaiono diverse proposte che mettono d’accordo schieramenti diversi e che puntano ad ammorbidire la durissima stretta assestata dal Governo con il provvedimento di fine 2023. Proposte di modifiche su cui il relatore al decreto, Guerino Testa (Fratelli d’Italia), ha già in agenda un incontro fissato per martedì proprio con i rappresentanti dell’Esecutivo.
In molti casi nelle proposte dei parlamentari si torna a parlare di proroga. A partire da una serie di emendamenti gemelli presentati da Fratelli d’Italia (primo firmatario: Saverio Congedo), Partito democratico (primo firmatario: Ubaldo Pagano) e Gruppo misto (prima firmataria: Renate Gebhard). In questo caso l’obiettivo è l’allungamento dei termini del 110% di due mesi, con una doppia condizione: la prima è quella di essere rientrati nella deroga che, a fine 2022, aveva consentito a molti di evitare il 90%, mantenendo il 110 per cento; la seconda è legata al 31 dicembre 2023. Entro quella data bisogna avere effettuato lavori per almeno il 70 per cento.
Di tono molto simile un’altra serie di proposte, firmate da Erica Mazzetti e Vito De Palma di Forza Italia, da Marco Simiani del Partito democratico, come primo firmatario, e dal Gruppo misto, che ipotizzano una proroga di due mesi del superbonus (quindi, fino al prossimo 29 febbraio) con percentuale identica a quella avuta lo scorso anno per coloro che, alla fine del 2023, abbiano effettuato lavori per almeno il 60 per cento.
Dal canto suo la Lega, con un’altra proposta (prima firmataria, Laura Cavandoli), chiede di ripristinare anche per le spese 2023 relative al superbonus la possibilità di optare per la detrazione in dieci anni, anziché gli attuali quattro. Di fatto, verrebbe così esteso il meccanismo già attuato per le spese 2022, dando a più soggetti la possibilità di smaltire gli sconti fiscali direttamente in detrazione. Una scappatoia importantissima, in assenza di cessione del credito e sconto in fattura.
Condivisa da maggioranza e opposizione è, poi, anche la proposta di rimettere mano al fondo indigenti. Il decreto 212/2023 ha, infatti, previsto la possibilità per i nuclei familiari con reddito non superiore a 15mila euro di ottenere un contributo per le spese effettuate nell’ambito del superbonus e non più coperte da agevolazione. Gli emendamenti gemelli, con primi firmatari Luciano D’Alfonso (Partito democratico), Saverio Congedo (Fratelli d’Italia) e Renate Gebhard (Gruppo misto), prevedono di elevare la soglia per il contributo da 15mila a 25mila euro. Senza, però, incrementare le risorse totali a disposizione del fondo.
Sul fronte delle barriere architettoniche, altri tre emendamenti gemelli, con primi firmatari Virginio Merola (Pd), Saverio Congedo (Fdi) e Renate Gebhard (Gruppo misto), chiedono di allargare il perimetro dei lavori per i quali è ancora concessa la cessione del credito, nell’ambito dell’agevolazione al 75 per cento. La soglia di 15mila euro euro per le persone fisiche dovrebbe, anche in questo caso, salire a 25mila.
Di grande peso, infine, un emendamento che porta la firma di tutti i partiti che compongono la maggioranza: Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia. E che, quindi, si presenta al passaggio in commissione con altissime chance di approvazione. Riguarda i lavori che potranno ricadere nelle vecchie regole del bonus barriere, beneficiando ad esempio dello sconto con cessione del credito anche per gli infissi e i bagni.
Quando non sia necessaria la presentazione di un titolo abilitativo, basterà una dichiarazione sostitutiva firmata da committente e impresa a provare che i lavori sono partiti entro il 29 dicembre e che, quindi, non rientrano nel nuovo regime. Non servirebbe più, così, il pagamento di un acconto a provare l’accesso al regime speciale.